La Giara, o ‘A Giarra è una commedia fondata sul paradosso della ragione. E sebbene il tema sia quasi filosofico e giuridico, il principio del torto e del giusto rispetto all’affermazione della verità, la sua collocazione popolare e campestre ne determina tuttavia una questione dal profilo panico e antropologicamente simbolico. La Giara, come ventre di madre terra trattiene il suo architetto ‘ZI Dima in lite con l’Imperatore e proprietario dei campi Don Lollò. Il fatto in sé viene solitamente visto come una contesa da vita dei campi, di derivazione verghiana, giocata sulla roba. Ma altro è La Giara se si vuole svelarne il senso profondo che, pur sotto le maglie della commedia umoristica, nasconde un meccanismo orgiastico di vita e di morte. Credere che d’un tratto, nel momento in cui scriveva il saggio su L’Umorismo o il Fu Mattia Pascal, Pirandello volesse ritagliarsi una vacanza nella conciliazione borghese di una vita dei campi dal sapore verghiano è davvero analisi ingenua che il poeta di Girgenti non merita affatto. Il suo bordone è sempre lo stesso, e lo dice anche nel saggio citato : . “ … la tristizia degli uomini si deve spesso alla tristezza della vita, ai mali di cui essa è piena e che non tutti sanno o possono sopportare; induce a riflettere che la vita, non avendo fatalmente per la ragione umana un fine chiaro e determinato, bisogna che, per non brancolar nel vuoto, ne abbia uno particolare, fittizio, illusorio, per ciascun uomo, o basso o alto.” (L’umorismo).
Questa Giara, allora, sarà per noi l’occasione per interrogare nuovamente l’autore siciliano: sulla vita, sulla coscienza del vivere e sul desiderio panico di legarsi alla natura, “ …vivere per vivere, senza saper di vivere come una pietra, come una pianta…”.
Pirandello è sempre dentro la sua opera e mai ne esce neanche per creare delle zone di svago, dei divertimenti. Il suo impegno morale e civile permea, anche se in forme diverse, ogni rigo della sua opera costantemente volta a lottare contro un mondo e ad una società in cui la materialità andava sempre più prendendo piede.
Come non ricordare la condanna del fanatismo bestiale dei Giganti della montagna. L’uomo nella corsa al benessere della materia incapace di accogliere, di sentire valori spirituali quali quelli dell’arte. Nell’ultimo lavoro pirandelliano, la compagnia teatrale della contessa, con l’aiuto degli scalognati (che tutto hanno perché nulla possiedono), tenta di rappresentare al popolo dei giganti, (tronfi del loro galoppante benessere) il messaggio poetico racchiuso dentro La favola del figlio cambiato. L’uomo è divenuto cieco e sordo ai valori dell’arte, dello spirito. Pirandello pagherà la lotta contro questa involuzione della società con la solitudine che fu di tanti suoi personaggi ed anche sua. E’ comunque questo il suo ultimo messaggio, ulteriore dimostrazione di come, pur nelle perplessità e nelle angosce egli fosse attaccato alla cristallina purezza di una vita autentica. Da qui e dalla ricerca mai smessa del motivo per cui può valer la pena vivere, sgorga la sua profonda religiosità.
Pure nella novella del 1908 e nella commedia del 1917, ancora lontana dal Mito de I giganti, con la feroce comicità e il caustico umorismo poggiato sul letto popolare della sua ambientazione, la vicenda de La Giara porta con sé il corpo esistenziale di un Pirandello che mai ha smesso di narrare e mostrare il suo profondo bisogno spirituale di dare una ragione alla contraddizione costante della vita.
Giuseppe Dipasquale