Vangelo secondo Giuda è un testo che si permette due fondamentali disobbedienze.
La prima, la più scapigliata: lo sguardo e la voce di questo Vangelo sono quelli dell’ultimo tra gli ultimi, il reietto per definizione, ovvero lui, Giuda. Eppure, forse proprio per questo sguardo che arriva dai margini la storia prende un’altra direzione, smarrisce la sua sacralità e si umanizza, si fa carne e sentimenti, pensieri e miserie, paure ed allegrie. Com’è la vita, quando esce dal tempio e incontra le donne e gli uomini.
L’altra disobbedienza è l’aver proiettato questa storia in un tempo nostro, presente, il tempo dolente, ingenuo e ribelle che fu di Giuseppe Fava quando scrisse questa piéce. Precipitati dai loro piedistalli, il Maestro e gli apostoli sono attorno a noi, con difetti e rabbie, adulazioni e presunzioni. Un vangelo blasfemo? Niente affatto: un vangelo nostro, concreto e insieme buffo, racconto di vite fallaci, di amori assoluti, di tradimenti e di ribellioni, di equivoci, paradossi, verità sempre imperfette.
La regia ha voluto restituire al testo la freschezza di un’intuizione: immaginarci noi, su questo palcoscenico, noi apostoli improbabili, noi maestri supponenti, tutti tentatori e tentati dalla vita terrena. Quella cioè che si attraversa e si consuma qui ed ora.
Claudio Fava