Fratellina

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di Spiro Scimone

regia  Francesco Sframeli
scene  Lino Fiorito
costumi Sandra Cardini
disegno luci Gianni Staropoli
regista assistente Roberto Zorn Bonaventura
assistente alle luci Maria Virzi
assistente scenografo Lello Becchimanzi
direttore di scena Santo Pinizzotto

con: Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Gianluca Cesale, Giulia Weber

produzione Teatro Metastasio di Prato / Associazione Culturale Scimone Sframeli
in collaborazione con  Istituzione Teatro Comunale Cagli

Come al solito, la scena appare scarna : due letti, a castello – il che in ogni caso moltiplica per due la consistenza scenica –, dai quali osservare e commentare le cose e le occasioni del mondo. Il titolo, “Fratellina” al femminile, lascia perplessi, interrogativi : dev’essere pura percezione qui, la confusione del genere sembra voluta. Del resto, i quattro personaggi non indicano attitudini e atteggiamenti di genere ma più complessivamente stati d’animo e reazioni : Nic e Nac – maschile, femminile o misto ? – e poi Fratellino e Sorellina, indicano semplici entità teatranti, capaci di muoversi o gesticolare come marionette, come “pupi”, in un mondo rarefatto in cui non contano le trame del reale – quali che siano – ma l’evidenza dell’improbabile divenire delle cose. Come dire che il mondo è pieno di niente, di impressioni vaghe, vissute come in un trasognamento o in un trasalimento. I nomi, insomma, non denominano più grandi o piccole certezze, ma eventuali potenzialità che prendono forma solo a parole : come si deve, dunque e del resto, a teatro. Così, per esempio, la parola “cognato” può non indicare il fratello della moglie, ma più evidentemente il marito della sorella, in funzione della reale situazione specifica. C’è in questo lavoro l’accorata denuncia di un mondo sempre più vuoto e crudele, dove il senso comune ha perso ogni punto di vista o di riferimento e che lascia così isolati e perduti i propri personaggi costretti a rifare il mondo “a parole” su dei lettini che mimano più i giacigli delle prigioni che i tappeti volanti su cui sognarsi in viaggio. La grande potenza all’opera di Spiro Scimone è la sua capacità di tastare e interrogare ancora la pienezza e la concretezza dei significati delle parole – che ci sembra essere una delle costanti della vena siciliana – viene in mente Pirandello. E anche la capacità di tenersi alla larga da ogni forma che, anche criticamente, prenda le mosse da atteggiamenti realistici, contando piuttosto sulla grande forza di convincimento che è il non-senso. E di fare, infine, immanenza poetica con alcune, poche, scelte, immagini e parole di ogni istante del reale : così sia anche per la luna che, dopo il sole, sorge ogni giorno storta e più niente poi si raddrizza.

Jean-Paul Manganaro

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