Gioni è una ragazzina di tredici anni, felice, solare, oltremodo empatica, che vive nel mondo edulcorato e scintillante dei meravigliosi anni Cinquanta, dentro la cornice immaginifica del telefilm Happy Days.
Però è una bugia.
Perché questo mondo è una ricostruzione minuziosa di ciò che sogna, ché a suo parere gli anni Cinquanta sono stati gli anni migliori, quelli in cui tutto poteva accadere, e poi in effetti accadeva.
Adesso non più, perché Gioni, in realtà, vive in un futuro distopico in cui la morte è stata debellata, e così propone situazioni esistenziali funzionali, al fine di trovare una strada, pure un buco di strada, un buco in un buco di strada in cui gridare il suo dolore.
Perché anche la sua felicità è una bugia.
Per cui, non le rimane che immaginare, progettare, entusiasmarsi, ballare, ridere, urlare, raccontare, ritrattare, semplificare, sbaragliare, minacciare, e ribadire fino in fondo, senza mai raggiungerlo.
Il tutto con una lingua corrotta, personalissima, traboccante di ironia.
E poi la musica, che è un gioco nel gioco, un calcio col calcio, un urlo dell’urlo.
Note dell’autore
Eppideis è uno spettacolo atipico, forse il più atipico dei miei spettacoli atipici, e ciò principalmente perché offre la mia versione scritta, detta, rappresentata del fallimento inteso come fallimento della creazione artistica, intesa come realtà, intesa come l’insieme dei dispositivi narrativi che adoperiamo per restare in vita nel mentre che moriamo, e del resto Eppideis, in greco antico significa Apprendimento, e l’apprendimento genera la consapevolezza, e la consapevolezza non può che determinare una fine, e sarà la fine della rappresentazione, in questo caso, e perciò mi sporgerò inesorabilmente verso un me stesso ipotetico, e contesterò l’invenzione, travalicherò la catarsi, soprattutto quella indotta o mitigata dalla comprensione piena delle cose, ché le cose, per come le sento io, sono formule esistenziali stridenti, traboccanti di poco, che provano a stabilire connessioni fragilissime e disincantate con la realtà, e con chi, nella realtà, intenda girare nella giostra del dubbio insieme al personaggio sulla scena, immedesimandosi in lui, interrogandosi sulla sua ricerca, per poi giudicarla, boicottarla, irriderla, piantarla su una croce qualsiasi, e tornarsene a casa, con quel bel tipico peso alla bocca dello stomaco.
E in effetti, ciò di cui andiamo alla disperata ricerca, quello che più agogniamo, è una specie di alter ego sciagurato a cui far vivere le peggiori peripezie, col patto che ci lasci tutta la meraviglia.